alla fine ce l'ho fatta! Dopo diverse settimane di incubazione, ecco la prima "Intervista Flash". Iniziamo con Gigi Montali, rinomato fotografo parmigiano, presidente per svariati anni del gruppo fotografico colornese "Color's Light", nonchè referente FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) per la provincia di Parma. Un'intervista che ci rivela con semplicità le scelte che hanno portato Gigi ad essere il fotografo che conosciamo in cui ci spiega come è riuscito a portare a termine con successo la sua ultima fatica editoriale.
Vivere nella “bassa”, non per tutti è una scelta ma se non sbaglio per te lo è stato. Che importanza ha secondo te il luogo in cui vive un fotografo?
Vedi, il luogo in cui siamo nati e dove viviamo i primi anni della nostra vita è una scelta obbligata, dopo questa prima tappa siamo noi che andiamo a scegliere il luogo dove vivere.
Nella Bassa ci sono arrivato per amore, mia moglie è di Colorno e quando abbiamo deciso di farci una vita nostra abbiamo stabilito di vivere lì, dopo i primi anni vissuti in condominio avevo bisogno di “spazio” e siamo andati ancor più vicino al Po. Ormai vivo qui a Mezzano Rondani da più di 20 anni, sicuramente vivere sotto l’argine del Po incide molto sul tuo stile di vita e sui gusti fotografici, impari ad amare la nebbia e le atmosfere ovattate, impari ancor di più ad amare il contatto umano, perché nei piccoli centri ci si conosce ed entri in quell’armonia uomo ambiente di cui ha bisogno la mia fotografia. Per concludere il luogo in cui si vive è molto importante per un’opera di un autore.
Quanto invece è importante viaggiare per un fotografo?
Viaggiare non è indispensabile per un fotografo, ma sicuramente il viaggio ti apre la mente, impari anche ad affrontare situazioni e luoghi quasi improvvisando. Anche se, prima di un viaggio, è importante cercare di entrare in sintonia con il luogo da visitare; leggendo, ascoltando musica e quanto ci possa aiutare ad arrivare nel luogo senza che questo sia completamente sconosciuto. Conoscere altre culture è sempre un accrescimento culturale che non può altro che essere positivo per la nostra mente.
La tua è una fotografia delicata ma allo stesso tempo diretta ed incisiva, credi che le tue fotografie possano in qualche modo essere interpreti della tua terra e della sua gente?
Penso che siano anche lo specchio della mia personalità, che sicuramente si è forgiata vivendo a contatto con gente gentile ma diretta ed incisiva, le nostre immagini sono il nostro specchio.
Gli urlatori non mi sono mai piaciuti, preferisco trasmettere senza imporre, spesso è più difficile ma col tempo i risultati mi hanno dato ragione.
Preferisci fotografare i luoghi o le persone che vi abitano?
In un racconto fotografico vi sono due elementi indissolubili, i luoghi sono fatti dalla gente, la gente è plasmata dai luoghi; io sono nato paesaggista ma poi ho capito che se si racconta il paesaggio senza la gente che lo vive si crea una fotografia vuota, per cui ho sempre cercato di dosare i due elementi.
Mentre realizzi un lavoro passi più tempo ad osservare o a fotografare?
Fondamentalmente sono un istintivo per cui quando vedo una situazione che mi piace la fotografo subito, per far questo mi rendo conto che lo sguardo è sempre attento e in qualsiasi momento osservo e cerco di carpire immagini, anche quando guido. Altro tempo dedicato all’osservare sono i tempi di visione di mostre e libri fotografici. Per cui se soppesiamo le due cose il tempo dedicato all’osservazione è maggiore che quello dedicato allo scatto.
Parlando del tuo ultimo libro, quanto tempo hai dedicato alla sua realizzazione?
Il tempo di studio un paio di mesi, la fase di scatto un paio di anni, la realizzazione almeno tra i tre e quattro mesi.
Qual è stata la parte più dura e quella più easy?
La parte più dura è riuscire a trovare un’idea in parte originale, dico in parte perché ormai è stato fatto tutto o quasi, cercando di avere un tuo linguaggio. La più facile è il momento dello scatto; è il momento più bello, dopo lo scatto ti senti realizzato. Questo per quanto riguarda il privato, nel momento in cui devi proporre il lavoro alla visione la difficoltà si riempe di incertezze, la scelta, il luogo di esposizione e nel caso di un libro la ricerca di un editore.
Se potessi ricominciare da capo rifaresti le stesse scelte oppure ti piacerebbe cambiare, aggiungere o togliere qualcosa?
Essendo nato fotograficamente nell’epoca analogica, rimpiango non aver potuto iniziare prima a fotografare ed a vedere le opere dei grandi maestri, di contro ho imparato a cercare lo scatto giusto subito prima di pigiare il pulsante. Posso dire che sono più che contento del mio percorso.
C'è un consiglio che vorresti dare ai fotografi che come me rimangono incantati dai paesaggi e dalla vita legata al grande fiume?
L’importante è cercare di entrare in sintonia, e di cercare una propria lettura un filo conduttore, non fermarsi alla superficialità. Le persone che lo vivono possono dare tanto, cercare di raccontare le storie di queste persone ci può fare entrare nella giusta lunghezza d’onda.
Durante questo viaggio lungo 652 chilometri, qual è stato il luogo che ti ha affascinato di più e quello (se c'è stato) che ti ha deluso?
Parto dalle delusioni, purtroppo ho trovato parchi abbandonati e aree in cui il fiume è praticamnte un intruso, questo specialmente dopo Torino fino a poco prima di Casale Monferrato.
Forse mi ripeto ma la cosa più affascinate sono le persone che vivono col fiume, tante storie raccolte, se fossi più bravo a scrivere ci sarebbe materiale per un libro di racconti.
Oggi sicuramente vi sono tanti fotografi che traggono ispirazione dalle tue immagini, ma tu a chi ti sei ispirato?
Non esiste un unico fotografo, ma una serie di personaggi che negli anni ho ammirato alcuni ho anche avuto la fortuna di conoscere. Il primo fotografo che ho ammirato è stato Franco Fontana, erano le mie prime fotografie e qualcuno le tacciava di “Fontanate”, da lui ho sicuramente imparato che di fronte ad un paesaggio non bisogna mai fermarsi al primo sguardo, ma bisogna indagare ed interpretare lo stesso.
Dopo Fontana, mi sono appassionato all’opera di Gianni Berengo Gardin, la sua semplicità nel raccontare la quotidianità mi affascina, la sua capacità nel raccontare, inoltre ho avuto modo di frequentarlo in occasione di un progetto collettivo e li ho conosciuto una grande persona.
Le opere dei grandi fotoreporter degli anni '80 mi hanno sempre affascinato, Lotti, De Biasi e Galligani hanno saputo fotografare e dare voce alla nostra storia, dei tre Galligani è quello che ho avuto modo di conoscere e con il quale ho avuto diversi contatti, è quello che più mi ha dato, vedendo le sue foto capisci il valore della sintesi.
Non posso tralasciare un grande amico come Ivano Bolondi, da lui ho imparato ad indagare nel non visibile.
Ho sempre ammirato Mario Giacomelli per la sua caparbietà e originalità, ma forse perché troppo personale dalla sua fotografia non ho mai preso ispirazione. Un discorso a parte lo farei per Ghirri, la prima mostra l’avevo vista a Milano al SICOF, non mi aveva entusiasmato con la maturazione ho iniziato ad amare la sua opera ed a studiare il suo percorso. Ultimo metto ancora un grande amico Gianni Pezzani, i suoi paesaggi della nostra terra i suoi viraggi mi hanno trasmesso tanto. Come vedi ho citato solo autori Italiani, l’unico autore non Italiano che ha influenzato la mia fotografia è Salgado, ma è talmente in alto che ho quasi paura a citarlo!
Chi è il fotografo contemporaneo che ammiri di più?
Domanda difficile, partendo dalla fine dell’ultima risposta posso dire Salgado, mi ha affascinato la sua capacità nel riuscire a cercare nuovi stimoli a ripartire da un punto zero!
Hai già in mente la tua prossima sfida?
Quella più vicino è selezionare il materiale per la mostra legata al libro del Po, ma anche quella di selezionare il materiale dell’ultimo viaggio nel Delta Mississippi.
www.gigimontali.it
Vedi, il luogo in cui siamo nati e dove viviamo i primi anni della nostra vita è una scelta obbligata, dopo questa prima tappa siamo noi che andiamo a scegliere il luogo dove vivere.
Nella Bassa ci sono arrivato per amore, mia moglie è di Colorno e quando abbiamo deciso di farci una vita nostra abbiamo stabilito di vivere lì, dopo i primi anni vissuti in condominio avevo bisogno di “spazio” e siamo andati ancor più vicino al Po. Ormai vivo qui a Mezzano Rondani da più di 20 anni, sicuramente vivere sotto l’argine del Po incide molto sul tuo stile di vita e sui gusti fotografici, impari ad amare la nebbia e le atmosfere ovattate, impari ancor di più ad amare il contatto umano, perché nei piccoli centri ci si conosce ed entri in quell’armonia uomo ambiente di cui ha bisogno la mia fotografia. Per concludere il luogo in cui si vive è molto importante per un’opera di un autore.
Quanto invece è importante viaggiare per un fotografo?
Viaggiare non è indispensabile per un fotografo, ma sicuramente il viaggio ti apre la mente, impari anche ad affrontare situazioni e luoghi quasi improvvisando. Anche se, prima di un viaggio, è importante cercare di entrare in sintonia con il luogo da visitare; leggendo, ascoltando musica e quanto ci possa aiutare ad arrivare nel luogo senza che questo sia completamente sconosciuto. Conoscere altre culture è sempre un accrescimento culturale che non può altro che essere positivo per la nostra mente.
La tua è una fotografia delicata ma allo stesso tempo diretta ed incisiva, credi che le tue fotografie possano in qualche modo essere interpreti della tua terra e della sua gente?
Penso che siano anche lo specchio della mia personalità, che sicuramente si è forgiata vivendo a contatto con gente gentile ma diretta ed incisiva, le nostre immagini sono il nostro specchio.
Gli urlatori non mi sono mai piaciuti, preferisco trasmettere senza imporre, spesso è più difficile ma col tempo i risultati mi hanno dato ragione.
Preferisci fotografare i luoghi o le persone che vi abitano?
In un racconto fotografico vi sono due elementi indissolubili, i luoghi sono fatti dalla gente, la gente è plasmata dai luoghi; io sono nato paesaggista ma poi ho capito che se si racconta il paesaggio senza la gente che lo vive si crea una fotografia vuota, per cui ho sempre cercato di dosare i due elementi.
Mentre realizzi un lavoro passi più tempo ad osservare o a fotografare?
Fondamentalmente sono un istintivo per cui quando vedo una situazione che mi piace la fotografo subito, per far questo mi rendo conto che lo sguardo è sempre attento e in qualsiasi momento osservo e cerco di carpire immagini, anche quando guido. Altro tempo dedicato all’osservare sono i tempi di visione di mostre e libri fotografici. Per cui se soppesiamo le due cose il tempo dedicato all’osservazione è maggiore che quello dedicato allo scatto.
Parlando del tuo ultimo libro, quanto tempo hai dedicato alla sua realizzazione?
Il tempo di studio un paio di mesi, la fase di scatto un paio di anni, la realizzazione almeno tra i tre e quattro mesi.
Qual è stata la parte più dura e quella più easy?
La parte più dura è riuscire a trovare un’idea in parte originale, dico in parte perché ormai è stato fatto tutto o quasi, cercando di avere un tuo linguaggio. La più facile è il momento dello scatto; è il momento più bello, dopo lo scatto ti senti realizzato. Questo per quanto riguarda il privato, nel momento in cui devi proporre il lavoro alla visione la difficoltà si riempe di incertezze, la scelta, il luogo di esposizione e nel caso di un libro la ricerca di un editore.
Se potessi ricominciare da capo rifaresti le stesse scelte oppure ti piacerebbe cambiare, aggiungere o togliere qualcosa?
Essendo nato fotograficamente nell’epoca analogica, rimpiango non aver potuto iniziare prima a fotografare ed a vedere le opere dei grandi maestri, di contro ho imparato a cercare lo scatto giusto subito prima di pigiare il pulsante. Posso dire che sono più che contento del mio percorso.
C'è un consiglio che vorresti dare ai fotografi che come me rimangono incantati dai paesaggi e dalla vita legata al grande fiume?
L’importante è cercare di entrare in sintonia, e di cercare una propria lettura un filo conduttore, non fermarsi alla superficialità. Le persone che lo vivono possono dare tanto, cercare di raccontare le storie di queste persone ci può fare entrare nella giusta lunghezza d’onda.
Durante questo viaggio lungo 652 chilometri, qual è stato il luogo che ti ha affascinato di più e quello (se c'è stato) che ti ha deluso?
Parto dalle delusioni, purtroppo ho trovato parchi abbandonati e aree in cui il fiume è praticamnte un intruso, questo specialmente dopo Torino fino a poco prima di Casale Monferrato.
Forse mi ripeto ma la cosa più affascinate sono le persone che vivono col fiume, tante storie raccolte, se fossi più bravo a scrivere ci sarebbe materiale per un libro di racconti.
Oggi sicuramente vi sono tanti fotografi che traggono ispirazione dalle tue immagini, ma tu a chi ti sei ispirato?
Non esiste un unico fotografo, ma una serie di personaggi che negli anni ho ammirato alcuni ho anche avuto la fortuna di conoscere. Il primo fotografo che ho ammirato è stato Franco Fontana, erano le mie prime fotografie e qualcuno le tacciava di “Fontanate”, da lui ho sicuramente imparato che di fronte ad un paesaggio non bisogna mai fermarsi al primo sguardo, ma bisogna indagare ed interpretare lo stesso.
Dopo Fontana, mi sono appassionato all’opera di Gianni Berengo Gardin, la sua semplicità nel raccontare la quotidianità mi affascina, la sua capacità nel raccontare, inoltre ho avuto modo di frequentarlo in occasione di un progetto collettivo e li ho conosciuto una grande persona.
Le opere dei grandi fotoreporter degli anni '80 mi hanno sempre affascinato, Lotti, De Biasi e Galligani hanno saputo fotografare e dare voce alla nostra storia, dei tre Galligani è quello che ho avuto modo di conoscere e con il quale ho avuto diversi contatti, è quello che più mi ha dato, vedendo le sue foto capisci il valore della sintesi.
Non posso tralasciare un grande amico come Ivano Bolondi, da lui ho imparato ad indagare nel non visibile.
Ho sempre ammirato Mario Giacomelli per la sua caparbietà e originalità, ma forse perché troppo personale dalla sua fotografia non ho mai preso ispirazione. Un discorso a parte lo farei per Ghirri, la prima mostra l’avevo vista a Milano al SICOF, non mi aveva entusiasmato con la maturazione ho iniziato ad amare la sua opera ed a studiare il suo percorso. Ultimo metto ancora un grande amico Gianni Pezzani, i suoi paesaggi della nostra terra i suoi viraggi mi hanno trasmesso tanto. Come vedi ho citato solo autori Italiani, l’unico autore non Italiano che ha influenzato la mia fotografia è Salgado, ma è talmente in alto che ho quasi paura a citarlo!
Chi è il fotografo contemporaneo che ammiri di più?
Domanda difficile, partendo dalla fine dell’ultima risposta posso dire Salgado, mi ha affascinato la sua capacità nel riuscire a cercare nuovi stimoli a ripartire da un punto zero!
Hai già in mente la tua prossima sfida?
Quella più vicino è selezionare il materiale per la mostra legata al libro del Po, ma anche quella di selezionare il materiale dell’ultimo viaggio nel Delta Mississippi.
www.gigimontali.it
Il libro: "Po - Lungo il fiume paesaggio di sapori"
Inutile negarlo, ammiro veramente tanto Gigi che è riuscito a portare a temine un lavoro veramente impegnativo. Un libro fotografico che parla in modo vero e genuino del fiume Po, dellle sue terre, della sua gente e delle sue tradizioni. Un viaggio che svela l'identità di un territorio attraverso una fotografia delicata e rispettosa ma allo stesso tempo forte e diretta. Una fotografia che rappresenta alla perfezione la varietà degli scenari che si susseguono lentamente lungo le sponde del grande fiume e che ci racconta con semplicità un mondo affascinante e coinvolgente di cui è facile innamorarsi. Un viaggio fotografico attraverso la gastronomia e l'agricoltura del Grande Fiume. Gigi Montali ci accompagna infatti per tutto il percorso del fiume, dalle sorgenti del Monviso fino al paesaggio magico ed incantato del Delta. Un viaggio lungo 652 km in cui le acque del Po fanno da scenario a una varietà eterogenea di eccellenze gastronomiche e secolari tradizioni agricole.